Salisburgo, Grosses Festspielhaus, “La Bohème” di Giacomo Puccini
MIMI' SUL DAVANZALE
Opera di punta del Festival 2012, in coproduzione con il Grand Theatre di Shang Hai, è La Bohème di Damiano Michieletto, che con questa regia debutta a Salisburgo, uno spettacolo le cui recite sono tutte esaurite da tempo. Il giovane regista resta fedele alla propria cifra e ambienta l'opera nel contemporaneo, dando rilievo all'apparato scenotecnico e fornendo spunti interessanti.
La scena di Paolo Fantin è dominata da un'enorme finestra coi vetri all'inglese, per cui i protagonisti si trovano ad agire sul davanzale, piccolissimi rispetto alle proporzioni dell'apertura. Piove contro i vetri, è una giornata grigia e uggiosa: all'apparire di Mimì un dito scrive “Mimì” sul vetro appannato. Nel finale del primo quadro le ante si aprono e diventano quinte laterali, cingendo una mappa enorme del centro di Parigi che al contempo fa da sfondo e da pavimento, come se ci si affacciasse alla finestra per uno sguardo dall'alto, tanto che le case appaiono in miniatura come nel Monopoli e, al posto dei vetri, scorrono immagini dall'alto in movimento di vie e piazze.
Il terzo quadro è ambientato nella banlieue, lungo una strada di periferia con i cartelli stradali, un semaforo lampeggiante, ghiaccio e neve sulla carreggiata, ancora uno sguardo dall'alto come da una finestra immaginaria. Il quarto quadro è di nuovo sul davanzale, la finestra ora è socchiusa, Benoit ha sfrattato i ragazzi e sta facendo ammucchiare le loro cose, dopo gli inutili tentativi di farsi pagare l'affitto. Nel finale d'opera la finestra si chiude sotto la pioggia e una mano traccia il nome Mimì nell'umidità per poi, mentre Mimì muore, cancellarlo con un gesto repentino.
I costumi di Carla Teti situano l'azione nel contemporaneo e nel mondo giovanile: giubbetti di pelle, giacche a vento a righe, jeans sdruciti, maglie oversize, riservando a Musetta il glamour della moda, anche negli occhiali. Le luci di Martin Gebhardt e le coreografie di Nikos Lagousakos sono funzionali all'economia dell'insieme.
Damiano Michieletto è sempre bravo a collegare i personaggi all'oggi senza apparenti forzature, anzi dimostrando che l'attualizzazione giovi all'opera se basata su una forte idea registica. Nella soffitta coi materassi per terra i quattro amici fanno mestieri d'oggi: Rodolfo il videomaker, Marcello il graffitaro, Schaunard il dj, Colline il filosofo esistenzialista, Mimì la sarta. Siamo vicini a Natale e c'è un piccolo alberello, insieme a un carrello da supermercato, un bidone dell'immondizia, una stufa a gas collegata alla bombola. Alcune idee sono particolarmente azzeccate: il mar Rosso è un poster di pubblicità turistica e “affogo un faraon” diventa il coprire con la vernice spray l'immagine della Sfinge. Altre lasciano qualche perplessità: il lume di Mimì che diventa la sigaretta. I rapporti tra gli amici sono ben delineati. Poetico ed espressivo di un disagio personale e sociale l'incontro tra Rodolfo e Mimì: lei comincia a cantare la sua aria dando le spalle al pubblico, seduta sul bracciolo del divano, poi trasforma un tovagliolo di carta in un fiore. Rodolfo avverte la “gelida manina” quando le restituisce le chiavi che ha trovato. In particolare il pubblico ha apprezzato il riuscire a presentare i giovani in modo credibile, quei giovani felici di essere giovani e di vivere e pensare da giovani, orgogliosamente soddisfatti di una vita quotidiana caotica ed essenziale.
Il secondo quadro perde il fascino della festa da Momus a vantaggio di un Natale consumistico in stile americano: il finto babbo natale con le finte renne (una ragazza si maschera da Rudolph in proscenio), la frenesia di un centro commerciale, lo scartare i pacchi, l'emozione istantanea del regalo, i bambini che ricevono tutti lo stesso dono (una playstation) e fanno tutti gli stessi gesti stereotipati, Parpignol vestito da supereroe che vola. Il terzo quadro è dominato dal gelo che ghiaccia le strade e dallo squallore della periferia grigia, dove fa ancora più impressione la figuretta di Mimì coi capelli asimmetrici e gli stivaletti che sprofondano nella neve. Con queste premesse, la Bohème di Michieletto non poteva che finire così nel quarto quadro: la finestra chiusa, il mondo fuori, la soffitta vuota, i pochi averi ammucchiati, Mimì da sola piegata sul materasso di fronte all'impotenza dei ragazzi che si abbracciano. E la mano che scrive e poi cancella il nome evanescente nell'umidità. Il nome di una vita che non lascia tracce.
All'ora prevista per l'inizio della recita è stata data la comunicazione dell'indisposizione vocale di Piotr Beczala e del conseguente ritardo di circa quaranta minuti per consentire la sostituzione con Jonas Kaufmann: il polacco ha interpretato il ruolo attorialmente, il tedesco vocalmente dal proscenio.
Daniele Gatti ha diretto in modo personalissimo, originale e raffinato, prestando grande attenzione ai cantanti e in particolare a Kaufmann per raccordarlo con la buca e il resto del cast. Il suono orchestrale è pulito e chiaroscurato e il racconto fluisce in morbida naturalezza. Gli strumenti sono in rilievo per accentuare le ampiezze melodiche. Il direttore ha esaltato i contrasti, necessari anche per dare un senso musicale a quella giovinezza che vive nel carpe diem, riuscendo nel contempo a sottolineare i ripiegamenti naif e malinconici indispensabili. Se il volume orchestrale è parso talvolta eccessivo, tendendo in alcuni punti a soverchiare le mezzevoci, sicuramente ha conquistato il pubblico la ricerca di colori inusuali, anche grazie ai Wiener Philharmoniker in splendida forma.
Anna Netrebko ha mostrato la sua forma migliore per questa Mimì, figura fragile in cerca di protezione (come le povere maglie sformate che indossa) circondata da un'aura di solitudine e abbandono; il soprano ha voce di timbro privilegiato e ampiezza straordinaria, sostenuta da emissione corretta; sottolinea ogni sfumatura, l'acuto è ben sostenuto, il fraseggio di classe pone gli accenti in rilievo, esaltando la morbidezza e l'omogeneità della linea vocale e il legato che conosciamo; ci ha particolarmente colpito il padroneggiare le smorzature, visto che il suo splendido timbro pare davvero essere esaltato dai piano.
Il regista vede Rodolfo un poco egoista, incapace di supportare e sopportare la malattia di Mimì; attorialmente Piotr Beczala rende bene il personaggio cercato, vocalmente Jonas Kaufmann è un Rodolfo di rara intensità: la voce scura si tinge di malinconia e il ragazzo egoista voluto dal regista si copre di sensibilità; un Rodolfo affettuoso e partecipe che progressivamente si intensifica nel sentimento; vocalmente Kaufmann ha tutto: sostegno, emissione, proiezione della voce lungo un ventaglio dinamico-emozionale che varia di continuo; si è ancora una volta apprezzata la sua capacità di cantare con mezzevoci assai espressive; indimenticabili l'attacco della “gelida manina” e il doppio, straziante “Mimì” del finale, dove il canto è intenso in virtù di accento e non di volume.
Massimo Cavalletti è un Marcello in puro stile pucciniano che canta bene e padroneggia il fraseggio. Nino Machaidze è una bellissima Musetta, il cui glamour in parte compensa una certa fissità nella voce e gli acuti poco saldi. Alessio Arduini è uno Schaunard disinvolto e dinoccolato, Carlo Colombara è un Colline di lusso che, nella Zimarra, mescola dolore e rabbia. A completare il cast Davide Fersini (Benoit), Peter Kàlmàn (Alcindoro) e i due interpreti di Parpignol, la voce di Paul Schweinester e il corpo volante di Steven Forster. Perfetti i cori, preparati da Ernst Raffelsberger (il coro della Staatsoper di Vienna) e Wolfgang Gotz (il coro di bambini del festival di Salisburgo).
Teatro esaurito; tra i presenti la cancelliera tedesca Angela Merkel, appassionata di lirica, e il baritono Erwin Schrott; pubblico in visibilio, nel finale un trionfo con oltre dieci minuti di applausi e ovazioni.
Visto a Salisburgo, Grosses Festspielhaus, il 4 agosto 2012
FRANCESCO RAPACCIONI